#ticostaca - una ragnatela di passaggi tra Italia e Costa Rica

Ticos è la parola con cui si chiamano gli abitanti del Costa Rica. Persone qualsiasi incontrate tra alberghi, ristoranti, autobus, strade, spiagge in tre settimane di viaggio nel paese più felice del mondo. #ticostaca è il racconto di questa terra, degli incontri e dei ricordi che c'ha regalato.

#ticostaca - una ragnatela di passaggi tra Italia e Costa Rica

Ticos, è la parola con cui si chiamano gli abitanti del Costa Rica. Persone qualsiasi incontrate tra alberghi, ristoranti, autobus, strade, spiagge, e negozi durante tre settimane di viaggio nel paese più felice del mondo. #ticostaca è il racconto di questa terra, degli incontri e dei ricordi che c'ha regalato. Una ragnatela quantica di passaggi, tiri e rimbalzi verbali che compongono la mia visione molecolare del più straniero paese che abbia mai visitato.

Sono le tredici e quarantacinque minuti circa, sotto il sole di Recife (Brasile), quando l'incornata di Bryan Ruiz fulmina Gigi Buffon, nell'indolenza di quell'ora di pranzo infuocata nella terra del calcio.

I giocatori della Sele, in maglia bianca con inserti rossi e blu, si muovono lenti, sonnacchiosi come bradipi. La difesa italiana è schierata, due linee compatte che indietreggiano per nulla intimorite dall'avanzare degli avversari. Ogni centimetro di spazio, tra loro e noi, tra la palla e la porta, è presidiato. Eppure qualcosa va storto.

Campbell e Ruiz, delanteri costaricensi, scattano lentamente verso la porta mentre l'esterno, il numero quindici Diaz, crossa. Ai nostri difensori quella corsa non sembra importare molto, non c'è affanno nel rincorrere i due attaccanti che, diligenti, si dirigono uno sul primo e l'altro sul secondo palo. La palla, lentissimamente anch'essa, scende verso quest'ultimo dove ad attenderla c'è l'incongruo numero 10: Bryan Ruiz, appunto. Un lungagnone che tutto sembra tranne che un fantasista, ma che, invece, il dono della tecnica l'ha ricevuto eccome.

Infatti c'è del genio in quel colpo di testa.

Sale in cielo, Ruiz. E colpisce. Una staffilata che incoccia la traversa dove Buffon non può arrivare, anche se il tiro è drammaticamente indirizzato sul suo palo. Colpisce il montante, quella sfera, e termina in rete. La gioia dei ticos è incontenibile. In quell'istante, Ruiz è il più felice nel paese dei più felici al mondo. Ha fatto gol all'Italia e la partita non ne vedrà altre, di reti. Forse, inconsapevolmente, il mio viaggio in Costa Rica inizia in quel momento. Anche se la Storia narrerà per sempre un altro racconto.

Quello della mia compagna che, desiderosa di festeggiare i suoi trent'anni con un viaggio importante, di quelli che restano, mi spingerà fuori dai confini della mia comfort zone, al di là del mare chiamato oceano, nella terra dei ticos. La dove il saluto Pura Vida è diventato filosofia d'esistenza e la felicità è il minimo comune denominatore delle vite di tutti.

Quelle che leggerete nelle prossime settimane sono le cronache delle cose viste, sentite, toccate, assaporate, fatte in tre settimane di vagabondaggi in terra di Costa Rica. Un racconto quantico, molecolare, disordinato. Dove la geografia o il tempo non sono necessariamente concetti ordinatori assoluti, ma semplici elementi da scegliere nell'infinita palette di strumenti che danno al ricordo la sua parvenza di racconto.