L'uomo che fu Sócrates, recensione a Un giorno triste così felice

La recensione del libro Un giorno triste così felice, in cui Lorenzo Iervolino racconta la storia di Sócrates. Medico, calciatore, rivoluzionario ma , più semplicemente, uomo che visse il suo tempo

L'uomo che fu Sócrates, recensione a Un giorno triste così felice

Di solito sono un lettore bulimico, mi piace divorare i libri in fretta, macinando le storie avidamente, pagina dopo pagina. Perciò, in quanto lettore bulimico, adoro i libri gordi. Ovvero quei libri con tante pagine, che ti trascinano di capitolo in capitolo, che ti tengono attaccato alla trama. Quelli per cui trovi sempre altri 30 minuti per andare avanti, anche se sono le due di notte, anche se il giorno dopo devi svegliarti presto per andare al lavoro. Per me libri gordi sono quelli di Wu Ming, di Ellroy e Il signore degli anelli. Sono gordi quei libri che porto sulla spiaggia o su un prato d'estate, quelli che posso leggere a briglia sciolta, quelli che non riesco a chiudere se non sono proprio obbligato a farlo da una contingenza stringente tipo, appunto, l'implacabilità dell'orologio o un crollo fisico. Un libro gordo è come la serie di shottini che bevi in una serata di esaltazione, quelli che ti fanno sbronzare senza che tu te ne renda conto e che il giorno dopo ti lasciano una sensazione di soddisfazione, mista a mal di testa, mista all'acido lattico che ti senti nelle gambe. Che poi, la mia lettura bulimica, somiglia molto anche a quelle volte che scarichi la stagione di una fantastica serie tv e la guardi tutta in una giornata.

Se vi piacciono gli anglismi tutta questa cosa la potreste chiamare binge reading e probabilmente ci fareste pure una bella figura in certi ambienti.

Un giorno triste così felice (66th&2nd) di Lorenzo Iervolino a me è sembrato tutto tranne che un libro gordo, e l'ho amato. Ma non fatevi trarre in inganno, è tutt'altro che un libro leggero, anzi è denso e stratificato, ma non ti chiede di corrergli dietro. Anzi addormenta la cadenza della lettura, ti sottrae a essa, ti obbliga a prenderti delle pause, a riflettere, a rigirare in bocca quanto hai letto per apprezzarne le sfumature e i retrogusti. Quello con cui ti confronti, quando lo leggi, è il ritmo bailado di un libro bailado.

Potrebbe essere diversamente per un libro che parla di Sócrates? Forse, ma non sono i what if che mi interessano adesso.

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Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira è stato molto più del calciatore che ai meno attenti di noi non ricorda nient'altro che una bolsa battuta in una commedia nazional popolare. Sócrates è stato prima di tutto un uomo che ha vissuto e incarnato il suo tempo. Sul rettangolo di gioco è stato uno dei grandi lenti, come Valderrama o Riquelme. Uno che alla velocità delle gambe preferiva la rapidità di pensiero, che vedeva spazi dove i giocatori normali (figuriamoci i tifosi) vedevano muri, che "colpiva la palla di tacco per farvi innamorare". E sullo stesso rettangolo di gioco è stato il volto e l'anima di uno dei più commeventi esperimenti di libertà che la storia ricordi: la Democrazia corinthiana.

Questo il nome con cui Washington Olivetto, un pubblicitario di San Paolo, contribuì alla fama di una squadra di calcio, il Corinthians, squassata da una lotta intestina per il potere e in crisi di risultati in un Brasile che "grondava dittatura". In un paese dove da 15 anni nessuno poteva votare "giocatori, dirigenti, massaggiatori e inservienti" cominciarono a prendere ogni decisione attraverso la pratica dialettica del confronto e del voto. Fu una rivoluzione di cui quel giocatore segaligno e laureato, che qualcuno chiamava "Magrão" e qualcun'altro "Doutor", fu il volto e il leader.

Quando leggi questa storia ti confronti col ritmo bailado di un libro bailado

Ma di questa storia non vi racconto altro, perché l'ha già raccontata, meglio di me, Lorenzo Iervolino nel libro di cui vi sto parlando. Piuttosto vorrei farmi una domanda, la cui risposta si trova anche in un libro come questo, ed è la seguente: "come si racconta la vita di un uomo?"

Viviamo in un'epoca in cui la memoria s'è fatta cosa tangibile, ce la portiamo in tasca incastonata in un computer che usiamo come telefono, viaggia nelle nuvole di dati accessibili in ogni dove e in ogni tempo. Tutto è archiviato e ogni faldone della nostra memoria può essere ricordato senza sforzo. Basta questo per poter avere memoria? Cos'è di preciso questa memoria che appare così inflazionata al giorno d'oggi?

Io credo che memoria significhi ricostruire contesti, ritrovare documenti, connetterli ai fatti ed esplorare la cartografia che emerge di conseguenza, per (ri)dare alla materia ormai inerte la sua voce. Lo compie, questo sforzo, l'autore. Non solo si reca nei luoghi di Sócrates alla ricerca delle testimonianze di chi ne ha incrociato il percorso, non solo ne recupera gli scritti e ne rivive la memoria, ma mischia i documenti e i fatti con la finzione, li riscrive. E inventa, inventa dialoghi verosimili o, meglio, veri perché simili, probabili. Inventa poesie che sono rielaborazioni degli scritti di Sócrates e così facendo ridesta quella voce, la fa parlare di nuovo, uguale e allo stesso tempo diversa. Taglia e cuce, aggiunge e toglie.

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Non è solo montaggio, è una visone autoriale sul senso della storia e della memoria. È andare al di sotto della scorza dura del monumento a stuzzicarne la carne viva per incrinarne l'epidermide marmorizzata.

Nella nostra epoca digitale di memoria diffusa è proprio questa la sfida che si pone all'arte, quale che sia la forma che questa assume. Imparare a decostruire i monumenti per poterli osservare da scorci improbabili. Arrivare a Sócrates non di fronte, ma di lato, dall'alto e dal basso. Scoprire ciò che Sócrates aveva sempre voluto essere, un uomo, prima che un calciatore, prima che un campione.

E al di là delle divagazioni sul senso dell'arte e della letteratura, sul ruolo che hanno per noi, adesso, è questa la lezione più grande che insegna questa storia, a essere uomini. Non posso giurarlo, ma se in futuro mio figlio mi chiederà come si fa, papà, a diventare uomini?, mi piace pensare che gli racconterò di un uomo chiamato Sócrates, come il filosofo greco che si ostinò alla verità fino a morirne. E, forse, quando il racconto si farà incerto e zoppicante, sarà a quel punto che mi ricorderò di questo libro. Sarà allora, dopo averlo tratto dalla libreria, che lo rileggerò insieme a lui.

Su L'Ultimo Uomo potete leggere Buon compleanno, dottor Sócrates, un estratto da Un giorno triste così felice di Lorenzo iervolino.